“Da anonimo ad anonima”
L’epopea delle radio libere del Salento tra dediche, musica e calcio

“Da anonimo ad anonima” L’epopea delle radio libere del Salento tra dediche, musica e calcio
di Renato MORO
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Domenica 10 Dicembre 2017, 19:16
La terra, a Gibellina, cominciò a tremare alle 13.28 di domenica 14 gennaio. Una scossa, poi l’altra, poi l’altra ancora sino a quella - maledetta e devastante - che un minuto dopo le tre della notte spazzò via la Valle del Belice. «Ho volato su un inferno», raccontò qualche tempo dopo il pilota di un aereo mandato a sorvolare l’area. Quasi trecento morti, migliaia di feriti. Era il 1968. Il vento della protesta studentesca cominciava a soffiare anche sull’Italia democristiana e negli Stati Uniti i ragazzi si facevano arrestare perché non volevano andare a morire in Vietnam. Il terremoto che colpì la Sicilia occidentale fu il primo esame di efficienza del Paese che solo 23 anni prima era uscito dalla seconda Guerra mondiale. Esame e bocciatura senza appello, vista l’incapacità di reagire e ricostruire.
C’è un filo etereo che lega quella tragedia alle sfide di cui ci occupiamo oggi. Da una parte quella valle dimenticata dagli uomini e violentata dal sisma e dall’altra la radio. O, meglio, le radio. Libere, private, “rosse”, clandestine, commerciali, cattoliche, di destra o di partito. Le radio che hanno segnato un’epopea, quella degli anni Settanta fino agli Ottanta. Danilo Dolci, triestino figlio di un ferroviere che per lavoro girò il Paese fino a stabilirsi in Sicilia, era chiamato il “Gandhi italiano” per il suo impegno: contro il fascismo nei tempi della gioventù, contro il malaffare e la mafia quando si stabilì a Partinico, in provincia di Palermo. Lì, in un palazzo del centro storico, nel tardo pomeriggio del 25 marzo 1970 accese l’interruttore del trasmettitore valvolare e parlò alla radio. Parlò da clandestino, ma parlò. Parlò e parlò denunciando le porcherie che avvenivano attorno alla ricostruzione nella Valle del Belice. Il giorno dopo, mandati dal pretore, i carabinieri spensero la radio e lo denunciarono. Il figlio del ferroviere Dolci era grande amico di Peppino Impastato, fondatore nel ‘77 di Radio Aut a Terrasini. Anche lui parlava, parlava e parlava. La mafia lo fece tacere per sempre il 9 maggio del ‘78.
Quella di Danilo è considerata la prima radio libera che sia stata ascoltata in Italia. Clandestina in tutti i sensi e vittima dei pretori che a quei tempi in Italia tagliavano, censuravano, sequestravano e mandavano al macero in nome del buon costume. Solo quattro anni dopo, la Corte Costituzionale consentì ai privati di trasmettere via cavo, mentre nel 1976 gli stessi giudici “liberarono” l’etere a patto però che le trasmissioni fossero locali. Nacquero le emittenti politicizzate, come Radio Popolare a Milano e Radio Alice a Bologna. Un mito, quest’ultima, tra i gruppi dell’estrema sinistra. Erano gli speaker che, dallo studio, guidavano gli studenti durante le manifestazioni in centro.
Ma le radio libere sono nate e si sono moltiplicate soprattutto per diffondere musica, quella che in Rai non passava o che veniva passata soltanto nelle trasmissioni cult dell’epoca che, come ogni trasmissione cult che si rispetti, ebbero una vita breve: Pop-off, affidata a un giovanissimo Carlo Massarini (quello che, vestito di bianco, negli anni ‘80 portò in tv la “musica da vedere” con Mister Fantasy), e Supersonic con i suoi dischi “a mach 2”, ovvero la stessa velocità alla quale dal 21 gennaio del ‘76 il Concorde collegava l’Europa a New York. Indimenticabile la sigla di Supersonic: un assolo di basso tratto da “In a gadda da vida” degli Iron Butterfly. Quello stesso anno Eugenio Finardi scrisse e cantò “La Radio”: “...e se una radio è libera ma libera veramente mi piace ancor di più perché libera la mente...”.
I duelli e le sfide, quando si parla di radio, sono tanti. La prima a trasmettere, la più potente visto che la modulazione di frequenza di per sé non consente la copertura di vasti territori, la più attrezzata, la più innovativa in quanto a generi musicali trasmessi e non solo.
Radio Video Brindisi è stata tra le prime a nascere, nel 1975, ma sicuramente è stata la prima a rendere un servizio giornalistico di eccellenza quarant’anni prima delle dirette no-stop in notturna cui in tv ci hanno abituato Bruno Vespa o Enrico Mentana. Ventotto minuti dopo la mezzanotte dell’8 dicembre del 1977 un boato terrificante svegliò Brindisi. Proveniva dall’impianto P2T del Petrolchimico, dove un’improvvisa fuga di gas aveva fatto saltare una parte dello stabilimento. Tre i morti, due tecnici leccesi e un loro collega brindisino. Una quarantina i feriti e in più centinaia di intossicati dalla nube tossica che nel giro di pochi minuti invase la città. Antonio Celeste, tra i fondatori della radio e redattore del notiziario, era a casa. Telefonò ai vigili del fuoco e quelli gli risposero: «È successo qualcosa al Petrolchimico». Pochi minuti dopo era nello studio di piazza Cairoli, a trasmettere minuto per minuto gli aggiornamenti sui soccorsi che comunicava un inviato che Brindisi avrebbe conosciuto anche nelle vesti di deputato e sindaco: Domenico Mennitti. Una nottata che Celeste non dimenticherà mai, una tragedia dalla quale Brindisi si risollevò con grande fatica.
Anche Radio Brindisi centrale fu tra le prime a trasmettere con Radio Giovane, Canale 94 e Trt. Nei primi giorni di settembre del ‘76 scese in campo, anzi nell’etere, anche Radio Ceglie centrale. Ma dovette fermarsi quasi subito, sia pure per pochi giorni. Il segnale, intorno ai 102.5 mhz, dava fastidio alle unità mobili che da lì a qualche giorno avrebbero seguito per la diretta Rai il campionato del mondo di ciclismo su strada, vinto da Freddy Maertens. «Un bel giorno - ricorda Mino De Masi, ora capo della redazione brindisina di Quotidiano - io, Mimmo Gigante e Donato Rapito ci trovammo davanti un tecnico della Rai. “Ragazzi”, ci disse, “dovreste spegnere il trasmettitore, altrimenti l’Italia non vedrà i Mondiali”». Ovviamente gli italiani videro il campione belga trionfare.
Erano i tecnici della Sip, la compagnia dei telefoni, quelli che invece bussarono alla porta di Studio 100 radio di Taranto. Ugo Briganti, tra i fondatori insieme Mariano Melucci e Antonio Cavallo, conduceva un programma a quiz dal successo straordinario. I tarantini, per poter rispondere, componevano tutti i numeri del telefono tranne l’ultimo, per il quale aspettavano la fine della telefonata in corso. Un trucco abusato, anche in tv, che a Taranto creò una serie di problemi agli utenti che avevano gli stessi numeri iniziali. «Sì - racconta Briganti - a causa nostra tanta gente non poteva usare il telefono. Così la Sip ci diede un numero dedicato, semplicissimo da comporre, il 3200». Briganti, ironia della sorte, è quello che per primo accese il trasmettitore di Studio 100 radio, il 16 maggio del ‘75, ed è quello che lo ha spento per sempre, il 30 giugno scorso. La palma di prima radio a trasmettere a Taranto, però, va a Radio Taranto Stereo, nata nell’ottobre del ‘75. Da clandestina, perché la Corte Costituzionale non aveva ancora liberalizzato l’etere.
A Lecce la contesa è tra Radio Lecce Uno e Radio Lecce Giovane, quest’ultima forse la prima sia pure per poche settimane. Tra i pionieri, in prima linea Adriano Barbano, regista e fondatore anche di Telelecce, la prima tv libera a trasmettere nel Salento. Musica e informazione erano i terreni sui quali le emittenti si sfidavano, con Radio Lecce Giovane che riuscì a fare anche le prime radiocronache delle partite del Lecce, allora in serie C. E che cronache: nello stadio di via del Mare le radio non entravano, in pratica erano oggetti non identificati, e allora Antonio Bartolomucci e Marcello Favale ebbero l’idea del balcone. Da un appartamento della zona 167 il radiocronista raccontava i gol di Cannito, Pezzella, Miceli e gli altri. Venne poi Radio Nice International e lì ci fu il “matrimonio” con la provincia, perché la musica di Nice era imperdibile. A farle concorrenza c’era Radio Salento, dalla quale nacque anche Telesalento.
La voce più calda, indimenticabile per chi ha vissuto l’epoca delle radio libere salentine, era quella di Fulvio Monaco. Il vero “uomo-radio” per lunghi anni, fondatore egli stesso di Radio Città 1 quando ormai la fiamma della prima fase dell’emittenza libera stava per spegnersi. Fulvio, che aveva la passione per la batteria e conosceva benissimo il mondo della musica e dei giovani che negli anni Settanta e Ottanta riempivano ogni sera piazza Mazzini, è scomparso prematuramente.
La sua voce faceva sognare e lui era il modello di tanti ragazzi che si improvvisavano dj. Sulla stessa lunghezza d’onda di Radio Nice, a 25 chilometri, nel ‘77 era nata Punto Radio Studio. Antenna sulla collina dei Cappuccini di Galatone e trasmettitore a transistor da 150 watts acquistato a rate. Per noi era tutto, ma spesso a mezzanotte si spegneva il segnale per poter ascoltare le novità che passavano i dj di Nice International. Si faceva la concorrenza a Radio Nardò Centrale e Radio Nardò 1 e i programmi con le dediche erano i più ascoltati. L’estate di “Ti amo” di Umberto Tozzi fu una fatica: il disco aveva prenotazioni che riempivano l’intera settimana. La dedica più strana fu “...da anonimo ad anonima”. «Ma come - disse al telefono il conduttore - così come si fa a capire?». «Non ti preoccupare, ci penso io», rispose l’anonimo.
A un certo punto ci buttammo nel mondo dell’informazione. Programma serale, un’ora dedicata ai problemi del paese. C’era stata una corsa alla solidarietà per far curare una bambina affetta da un male incurabile, ma purtroppo la generosità dei radioascoltatori non bastò a salvarle la vita. Una tragedia per tutti. Tonino, “armato” di registratore a cassette, andò a casa della piccola per raccontare il dolore. Alla sorella fece la più ovvia delle domande: «Come l’ha presa tua mamma?». E lei rispose con la più ovvia delle risposte: «In braccio...». Finì lì, a Punto Radio Studio, l’esperienza del giornalismo via etere.
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